La linea difensiva dalla Vedretta di Lares al Corno di Cavento

Il Corno di Cavento è una delle montagne simbolo della guerra combattuta in alta montagna, un vero fortino a 3402 metri di altezza che gli austriaci riuscirono a rendere quasi impenetrabili. Nonostante le condizioni di vita rese quasi impossibili dall'altitudine e dalle conidzioni climatiche, l'Esercito Imperiale cercò di adoperarsi fin da subito, una volta giunti in vetta, per realizzare le prime postazioni difensive che al loro apice terminarono in un vero e proprio sistema difensivo che dai Pozzoni arrivava fino a pochi metri dalla cima del Cavento.
A cura di Stefano Rossi

Il Corno di Cavento è uno dei simboli della guerra combattuta nella zona dell’Adamello, montagna che ha visto una grandissima quantità di scontri: vennero infatti combattute ben tre battaglie per ottenerne la supremazia. Il Cavento infatti, occupandone le posizioni, avrebbe permesso un pieno controllo su tutta la Vedretta di Lares e le varie zone limitrofe. I primi a giungere sulla cima furono i contingenti austriaci, nello specifico la 2^ compagnia del 170° Battaglione Landsturm del Tenente Franz Feichtner, che partirono la sera del 29 aprile 1916 da Vigo Rendena, giungendo in cima alla vetta alle due di notte del 30 aprile, una marcia durata ben 30 ore senza pause, se non un piccolo passaggio verso i Pozzoni, dove furono lasciati riposare i soldati esausti e stremati. La marcia compiuta rimane tutt’ora una vera impresa alpinistica, vennero infatti percorsi ben 2779 metri di dislivello con i soldati completamente equipaggiati, portavano con sé tutto il minimo indispensabile per poter creare un primo e rudimentale presidio, riuscendo a portare sulla cima anche una mitragliatrice Schwarzlose dal peso di ben 40 kg. Una volta giunti in vetta grande fu la sorpresa, non erano infatti presenti soldati italiani e questa cosa fu una soddisfazione anche per gli stessi scalatori in quanto, dopo la perdita del Passo di Cavento a discapito del Regio Esercito, non si aspettavano di trovare la cima sguarnita. Le motivazioni per la quale gli alpini non tentarono la conquista della vetta rimangono ancora oggi un mistero, dalla documentazione dell’epoca si evince come la presa del Cavento sarebbe dovuto avvenire in successione alla conquista dell’omonimo passo, ma evidentemente la stanchezza delle truppe non permise un’ulteriore scalata, rimandando così al giorno dopo l’operazione, dando così agli austriaci la possibilità di compiere indisturbati la loro impresa alpinistica. Aldo Varenna sostenne inoltre che il tentativo fu rimandato in quanto i pochi uomini a disposizione non avrebbero permesso la creazione di un primo vero caposaldo italiano. Giunsero sulla vetta venticinque soldati, anche se dieci vennero lasciati per la troppa stanchezza sui Pozzoni, e per prima cosa, viste le condizioni proibitive e i 3406 metri di altitudine, costruirono due piccole e rudimentali caverne a 200 m dalla vetta, piazzando poi la loro mitragliatrice in direzione del Passo di Cavento da poco conquistato dagli italiani.

Per far si che il presidio potesse iniziare a crescere e a rafforzarsi, il 2 maggio giunsero in vetta anche i soldati del 59° “Rainer” di Salisburgo comandati dal Capitano Theodor Bernatz. Le condizioni a quelle altitudini, considerando la precarietà nella quale si trovavano i soldati, ero praticamente insostenibili: il clima rigido non permetteva l’esposizione per troppo tempo al freddo, così come la neve andava a creare continue problematiche sulle poche linee create che dovevano essere disseppellite continuamente. Giunse in seguito sul Cavento il 161° Landsturm, dando così il cambio alle truppe quasi assiderate - dormivano infatti con solo alcune coperte - alle dipendenze del Capitano Felix Fahrner il quale, dopo pochi giorni dal suo arrivo, ricevette l’ordine di abbandonare la vetta (siamo all’11 maggio), visto la conquista italiana della linea di cresta composta dal Crozzon di Lares, Topette, Passo Fargorida, Passo del Diavolo, andandosi ad attestare sulla linea Carè Alto-Pozzoni. Ben consapevole degli sforzi compiuti per consolidare il presidio, di sua spontanea iniziativa decise di non abbandonare il Cavento e iniziò a strutturare un piano di lavoro che avrebbe dovuto rafforzare tutto il sistema difensivo: nella notte tra il 12 e il 13 maggio lasciò in vetta un piccolo reparto alle dipendenze dell’Alfiere Mittersackschmöller, che con una mitragliatrice e due cannoncini di fanteria avrebbe dovuto difendere il Cavento da possibili ed eventuali attacchi italiani. Con i restati uomini iniziò a tracciare una linea difensiva che dai Pozzoni giungeva fino al Folletto, scavata principalmente con pale e picconi. Al termine dei lavori vennero posti all’interno di questa trincea all’incirca sessanta uomini con due mitragliatrici. Questa prima eccezionale creazione subì un ulteriore miglioramento: il problema principale delle trincee scavate nella neve erano le continue nevicate che riempivano completamente la linea, dovendo così effettuare giornalmente continui lavori di ripristino. Il Comando quindi, seguendo la traccia realizzata da Fahrner, decise di scavare un sistema di gallerie con uno sviluppo in lunghezza di circa 6780 metri, invisibile agli occhi dei soldati italiani. L’incredibile opera venne compiuta in sole sette settimane e richiese lo sforzo di ben tre gruppi di zappatori, uno di genieri e anche 30/40 uomini del reparto lavori.

Nonostante il brevissimo tempo in cui fu realizzata, il sistema di gallerie fu pensato con delle caratteristiche ben specifiche, utili per evitare ingorghi e per velocizzare il più possibile il transito di uomini provenienti dalla prima linea o che dai Pozzoni si dirigevano verso il Corno di Cavento. Nei tratti in cui la galleria prevedeva la marcia a senso unico la sua larghezza era di 1 metro, approntando però ogni 30-40 metri una piccola piazzola dove poter cedere il passo. Dove la circolazione prevedeva il doppio senso si era pensato ad una larghezza maggiore arrivando a 1.30 metri di larghezza, in entrambi i casi però l'altezza massima era stata impostata a 2 metri con una pendenza massima del 10%. Trovandosi all'interno del ghiacciaio la possibilità di imbattersi in alcuni crepacci era molto elevata, per questa ragione si attuarono due strategie: evitare quelli più larghi mentre quelli più piccoli, se possibile, aggirarli oppure realizzare dei solidi ponti di legno. Per mantenere la ventilazione vennero creati dei camini di legno e delle piccole aperture laterali ad S, munite di porte di disimpegno. La luce, dove possibile, doveva essere naturale, così come vennero previsti dei telefoni a parete, eventuali cartelli di segnalazione e le latrine ogni 500 metri. La pavimentazione era composta da assi in legno e in caso la pendenza superasse determinate percentuali era prevista la realizzazione di scale, sempre in legno. Oltre per scopi di collegamento la galleria era stata predisposta anche come utile strumento difensivo in caso di perdita della cima del Corno di Cavento: all'interno dei camminamenti erano infatti presenti reticolati e porte blindate così da poter isolare in zone specifiche il nemico.

Al termine della costruzione della galleria vennero ampliati e creati ulteriori nuovi capisaldi difensivi che avrebbero dovuto rendere il Corno di Cavento praticamente impenetrabile. Si arrivò ad avere così un totale di 9 capisaldi difensivi, contando quelle che si trovano in cima alla vetta, disposti all’incirca a 200/350 metri di distanza uno all’altro, permettendo così di poter disporre all’incirca di 140/150 uomini. Nel settore dei Pozzoni ne troviamo ben quattro: il primo formato da una postazione, un riflettore e un ricovero per sette uomini; il secondo (q.2891) con una postazione più grande e una baracca per cinque uomini; il terzo (q.2964) con ben tre postazioni e una baracca per venti uomini; il quarto, posto esattamente al centro del ghiacciaio, munito di due postazioni, un riflettore, un ricovero per quattro uomini, cinque magazzini, una cucina per gli ufficiali e un dormitorio adibito ad ospitare una quarantina di soldati. Nel settore Folletto-Cavento troviamo altri 4 capisaldi: il primo e il secondo formati da una postazione, un riflettore e una baracca per dodici uomini; il terzo disponeva invece di due postazioni, due riflettori e due baracche una che poteva ospitare due soldati mentre l’altra un massimo di dodici; troviamo l’ultimo caposaldo proprio ai piedi dei Denti del Folletto, una postazione molto più grande in quanto munita di ben tre riflettori, uno in direzione Cavento e gli altri due invece verso il Carè Alto, un magazzino, la cucina, il telefono da campo, una baracca di grandi dimensioni adibita ad ospitare, divisi per settore, gli ufficiali e ben 3 baracche una che poteva ospitare 35 soldati e le altre due 12 soldati. Situazione ben diversa invece sulla cima in cui troviamo la presenza di quello che venne definito un fortino-galleria, due riflettori, uno che puntava in direzione Passo di Cavento, luogo nel quale si trovavano i soldati italiani, e l’altro in direzione Folletto, un telefono, la cucina, la baracca per gli ufficiali e quella per i soldati che ne poteva ospitare fino ad un numero massimo di dodici; al sud della vetta invece troviamo un’ulteriore baracca per dodici uomini, mentre al nord due da sette uomini ciascuna. Come se tutto questo grandissimo sistema difensivo non bastasse, i prigionieri russi, che riuscivano a scappare dalle linee austriache, giungendo sulle linee italiane, dichiaravano la presenza di ben trenta mitragliatrici per tutto il sistema difensivo, dodici di queste disposte tra Folletto e Cavento.
Terminarono così i lavori per la realizzazione della linea difensiva, linea che avrebbe dovuto essere impenetrabile, almeno così credeva il comando austriaco, solo però un quasi perfetto attacco italiano fece cedere le ridottine permettendo così al Regio Esercito di conquistare il Corno il 15 giugno 1917, in quella che viene ricordata come la prima battaglia per il Corno di Cavento.

Fonti utilizzate:
-Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull'Adamello: Corno di Cavento, Pinzolo, D. & C. Povinelli, 2000.
-Luciano Viazzi, I diavoli dell'Adamello: la guerra a quota 3000 1915-1918, Milano, Mursia, 2019
-Vittorio Martinelli, Corno di Cavento: Alpini, Kaiserjäger e Kaiserschützen, Brescia, Edizioni del Moretto, 1980.
-Felix Fahrner, La leva di massa salisburghese nella guerra di alta montagna, a cura di Armida Antolini e Rudy Cozzini, Strembo, Parco Naturale Adamello Brenta, 2015.